ABBAZIA DI CERRATE
L'Abbazia di Santa Maria di Cerrate è un sito romanico medievale che
si trova sulla strada provinciale che collega Squinzano a Casalabate, vicino Lecce.
La leggenda narra che il re normanno
Tancredi d'Altavilla, vissuto a cavallo tra i secoli XI e XII, mentre era impegnato in una battuta di caccia,
dopo aver inseguito a lungo una splendida cerva, sul punto di ucciderla ebbe
l’impressione di vedere apparire, fra le corna della sventurata fiera, la Madonna.
Si dice che da qui sia nato il nome Cerrate
o Cervate, anche se secondo altre ricostruzioni, potrebbe derivare da cerri, dalla
precedente estensione boscosa di querce e frassini.
Fondata quindi per volontà del re,
la gestione dell’Abbazia fu dapprima affidata ai monaci basiliani, per passare
in seguito ai benedettini. Nel 1531 il Complesso passò sotto il controllo
dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli.
Nel tempo divenne un centro
nevralgico per il territorio salentino annettendo fondi e giardini, uno scriptorium,
un refettorio, le abitazioni dei monaci, una biblioteca, i forni, due trappeti
(frantoi ipogei), le stalle, un pozzo, ed un mulino. Divenne importante per il
territorio sia da un punto di vista economico, sia religioso e culturale.
In seguito questo luogo è stato
abbandonato subendo un grave tracollo, anche per via dall’incursione dei pirati
turchi, nel 1711.
Adibito per un
certo periodo a masseria, il complesso è stato
poi acquistato dall'Amministrazione della Provincia di Terra d'Otranto e
restaurato, trasformano una delle aree in Museo delle Arti e delle Tradizioni popolari del Salento.
Nel museo si trovano oggetti ed
arredi tipici della tradizione contadina, le stanze da letto, la cucina con pentole
e attrezzi, gli utensili da lavoro, gli oggetti della vita quotidiana:
scolapiatti di legno, tappeti realizzati riutilizzando vecchi stracci
intrecciati, vasi e brocche e piatti di terracotta smaltata, centrotavola
ricamati, lenzuola e coperte tessute al telaio, statue dei santi in cartapesta e
argilla dipinta con le loro bellissime cupolette in vetro. Alcuni di questi
manufatti sono ancora in uso nelle abitazioni del sud Italia, e si trovano
facilmente nei mercati e nei negozi.
La chiesa è composta da un portale sormontato
da un’arcata con altorilievi che riproducono scene del Nuovo Testamento ed un
monaco in preghiera.
Sul fianco della navata sinistra un
lungo porticato con tettoia e colonne con archi, con ogni singolo capitello decorato
con diverse figure in pietra.
La visita include i due frantoi
ipogei, in cui si trovano le enormi macine per le olive e le vasche per
contenere l’olio.
Sono luoghi affascinanti, scavati
nelle rocce, con l’odore di umido del sottosuolo e le pietre stesse trasformate
in meccanismi votati al lavoro, ruote mastodontiche per schiacciare, cisterne
scavate nel pavimento.
L’Abbazia di Cerrate è il primo bene FAI in Puglia.
PIANTA GENERALE
1.
CHIESA DI SANTA MARIA DI CERRATE
2. PORTICO DUECENTESCO
3. CASA MONASTICA
4. MUSEO DELLE ARTI E DELLE TRADIZIONI POPOLARI
5. EDIFICIO DELLE EX - STALLE
6. FRANTOI IPOGEI
7. AIA
2. PORTICO DUECENTESCO
3. CASA MONASTICA
4. MUSEO DELLE ARTI E DELLE TRADIZIONI POPOLARI
5. EDIFICIO DELLE EX - STALLE
6. FRANTOI IPOGEI
7. AIA
8.
AGRUMETO
9. POZZO CINQUECENTESCO
9. POZZO CINQUECENTESCO
APPENDICE LETTERARIA
DA UN LAI DEL GUIGEMAR E IL MITO CELTICO DELLA CACCIA AL CERVO_ Maria di Francia
En l'espeise d'un grant buissun
Vit une bise od un foün;
Tute fu blaunche cele beste,
Perches de cerf out en la teste;
Nel folto di una
grossa macchia
ha visto una
cerva col suo cerbiatto;
la bestia era
tutta candida
e corna di cervo
portava sulla testa.
NA CANDIDA CERVA SOPRA L’ERBA_ Petrarca
Una candida
cerva sopra l’erba
verde m’apparve, con duo corna d’oro,
fra due riviere, all’ombra d’un alloro,
levando ’l sole a la stagione acerba.
Era sua vista sí dolce superba,
ch’i’ lasciai per seguirla ogni lavoro:
come l’avaro che ’n cercar tesoro
con diletto l’affanno disacerba.
Nessun mi tocchi - al bel collo d’intorno
scritto avea di diamanti et di topazi - :
libera farmi al mio Cesare parve .
Et era ’l sol già vòlto al mezzo giorno,
gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi,
quand’io caddi ne l’acqua, et ella sparve.
verde m’apparve, con duo corna d’oro,
fra due riviere, all’ombra d’un alloro,
levando ’l sole a la stagione acerba.
Era sua vista sí dolce superba,
ch’i’ lasciai per seguirla ogni lavoro:
come l’avaro che ’n cercar tesoro
con diletto l’affanno disacerba.
Nessun mi tocchi - al bel collo d’intorno
scritto avea di diamanti et di topazi - :
libera farmi al mio Cesare parve .
Et era ’l sol già vòlto al mezzo giorno,
gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi,
quand’io caddi ne l’acqua, et ella sparve.
LA CERVA_ canzone popolare salentina
‘Nu giurnu sci a caccia alla foresta Un giorno sono
andato a caccia in una foresta
intra lu boscu de Ninella mia nel bosco
della mia Ninella
ncontrai na cerva e li troncai la testa incontrai una
cerva e le troncai la testa
morta nu’ bera e lu sangu scinnia. Non era morta e il
sangue scorreva.
se nfaccia la patruna de la finestra: Si affaccia alla
finestra la padrona:
non ammazzar la cerva ca è la mia ! non
ammazzare la cerva che è mia !
nu su vanuto pe mmazzar la cerva, Non sono venuto ad
ammazzare la cerva
ieu su vanuto pe amare a tie. Sono venuto
per amare te.
LA CERVA BIANCA_ J. L. BORGES
Da quale agreste ballata della verde Inghilterra,
da quale stampa persiana, da quale regiona arcana
delle notti e dei giorni che il nostro ieri racchiude,
è venuta la cerva bianca che ho sognato questa mattina?
Sarà durata un secondo. L'ho vista attraversare il prato
e perdersi nell'oro di una sera illusoria,
lieve creatura fatta di un po' di memoria
e di un po' di oblio, cerva di un solo fianco.
I numi che reggono questo strano mondo
mi hanno permesso di sognarti ma non di essere il tuo padrone;
forse ad una svolta dell'avvenire profondo
ti incontrerò di nuovo, cerva bianca di un sogno.
Anch'io sono un sogno fuggitivo che dura
qualche giorno di più del sogno del prato e del biancore.
da quale stampa persiana, da quale regiona arcana
delle notti e dei giorni che il nostro ieri racchiude,
è venuta la cerva bianca che ho sognato questa mattina?
Sarà durata un secondo. L'ho vista attraversare il prato
e perdersi nell'oro di una sera illusoria,
lieve creatura fatta di un po' di memoria
e di un po' di oblio, cerva di un solo fianco.
I numi che reggono questo strano mondo
mi hanno permesso di sognarti ma non di essere il tuo padrone;
forse ad una svolta dell'avvenire profondo
ti incontrerò di nuovo, cerva bianca di un sogno.
Anch'io sono un sogno fuggitivo che dura
qualche giorno di più del sogno del prato e del biancore.
IL CERVO ALLA FONTE E IL LEONE_ Esopo
Spinto dalla sete, un cervo se ne
andò ad una fonte; bevve, e poi rimase ad osservare la sua immagine riflessa
nell’acqua. Delle corna, di cui ammirava la grandezza e il ricco disegno, si
sentiva tutto orgoglioso, ma delle gambe non era soddisfatto, perché gli
parevano scarne e fragili. Mentre ancora stava riflettendo, ecco un leone che
si mette ad inseguirlo. Il cervo si dà alla fuga e riesce per un bel pezzo a
tenerlo a distanza, perché la forza dei cervi risiede nelle gambe, come quella
dei leoni nel cuore. Finché il piano gli si stese dinanzi spoglio di alberi
egli trovò dunque scampo ma quando giunse in una plaga boscosa, accadde che gli
si impigliarono le corna nei rami, non poté più correre e fu preso. Allora,
mentre stava per morire, disse a se stesso: “Me disgraziato! quelle gambe che
dovevano tradirmi mi offrivano la salvezza, e mi tocca invece morire proprio
per colpa di quello in cui riponevo tutta la mia fiducia!”.
Così molte volte, tra i pericoli, la salvezza ci viene da amici che parevano
sospetti, mentre altri in cui avevamo piena fiducia ci tradiscono.
LA CERVA ORBA_ Esopo
Una
cerva orba d’un occhio usava pascolare vicino al mare, e per proteggersi da
eventuali attacchi, si metteva con l’occhio buono verso terra, in caso i
cacciatori le si avvicinassero, e il lato orbo rivolto al mare, perché da
quella direzione non si spettava alcuna minaccia. Tuttavia alcuni marinai
vennero con una barca a remi e appena la scorsero presero la mira dall’acqua e
le spararono, uccidendola.
Nell’esalare
l’ultimo respiro disse « Misera creatura che sono mai! Ero al sicuro dal lato
di terra da cui mi aspettavo di poter essere aggredita e ho trovato i miei
nemici nel mare da cui mi sentivo maggiormente protetta. »
Morale:
Il pericolo viene spesso da dove meno lo si aspetta.
IL CERVO MALATO_ Esopo
Un
cervo le cui giunture erano divenute rigide per l’età, cadde ammalato e decise
di riposare nell’erba lussureggiante di un prato vicino a un bosco, così da
poter mangiare un po’ più a suo agio.
Siccome
era sempre stato amichevole e un buon vicino, molti animali vennero a fargli
visita e ad augurargli pronta guarigione. Così, nonostante il cervo ricuperasse
la salute, non aveva niente da mangiare e finì col morire, non tanto per la
malattia o la vecchiaia, quanto per la mancanza del cibo che i suoi amici gli
avevano mangiato.
INCONTRO TRA IULO E SIMONETTA_ Poliziano
41
Ahi qual divenne! ah come al giovinetto
corse il gran foco in tutte le midolle!
che tremito gli scosse il cor nel petto!
d'un ghiacciato sudor tutto era molle;
e fatto ghiotto del suo dolce aspetto,
giammai li occhi da li occhi levar puolle;
ma tutto preso dal vago splendore,
non s'accorge el meschin che quivi è Amore.
Ahi qual divenne! ah come al giovinetto
corse il gran foco in tutte le midolle!
che tremito gli scosse il cor nel petto!
d'un ghiacciato sudor tutto era molle;
e fatto ghiotto del suo dolce aspetto,
giammai li occhi da li occhi levar puolle;
ma tutto preso dal vago splendore,
non s'accorge el meschin che quivi è Amore.
42
Non s'accorge ch'Amor lì drento è armato
per sol turbar la suo lunga quiete;
non s'accorge a che nodo è già legato,
non conosce suo piaghe ancor segrete;
Non s'accorge ch'Amor lì drento è armato
per sol turbar la suo lunga quiete;
non s'accorge a che nodo è già legato,
non conosce suo piaghe ancor segrete;
di piacer,
di disir tutto è invescato,
e così il cacciator preso è alla rete.
Le braccia fra sé loda e 'l viso e 'l crino,
e 'n lei discerne un non so che divino.
e così il cacciator preso è alla rete.
Le braccia fra sé loda e 'l viso e 'l crino,
e 'n lei discerne un non so che divino.
43
Candida è ella, e candida la vesta,
ma pur di rose e fior dipinta e d'erba;
lo inanellato crin dall'aurea testa
scende in la fronte umilmente superba.
Rideli a torno tutta la foresta,
e quanto può suo cure disacerba;
nell'atto regalmente è mansueta,
e pur col ciglio le tempeste acqueta.
Candida è ella, e candida la vesta,
ma pur di rose e fior dipinta e d'erba;
lo inanellato crin dall'aurea testa
scende in la fronte umilmente superba.
Rideli a torno tutta la foresta,
e quanto può suo cure disacerba;
nell'atto regalmente è mansueta,
e pur col ciglio le tempeste acqueta.
44
Folgoron gli occhi d'un dolce sereno,
ove sue face tien Cupido ascose;
l'aier d'intorno si fa tutto ameno
ovunque gira le luce amorose.
Di celeste letizia il volto ha pieno,
dolce dipinto di ligustri e rose;
ogni aura tace al suo parlar divino,
e canta ogni augelletto in suo latino.
Folgoron gli occhi d'un dolce sereno,
ove sue face tien Cupido ascose;
l'aier d'intorno si fa tutto ameno
ovunque gira le luce amorose.
Di celeste letizia il volto ha pieno,
dolce dipinto di ligustri e rose;
ogni aura tace al suo parlar divino,
e canta ogni augelletto in suo latino.
45
Con lei sen va Onestate umile e piana
che d'ogni chiuso cor volge la chiave;
con lei va Gentilezza in vista umana,
e da lei impara il dolce andar soave.
Non può mirarli il viso alma villana,
se pria di suo fallir doglia non have;
tanti cori Amor piglia fere o ancide,
quanto ella o dolce parla o dolce ride.
Con lei sen va Onestate umile e piana
che d'ogni chiuso cor volge la chiave;
con lei va Gentilezza in vista umana,
e da lei impara il dolce andar soave.
Non può mirarli il viso alma villana,
se pria di suo fallir doglia non have;
tanti cori Amor piglia fere o ancide,
quanto ella o dolce parla o dolce ride.
46
Sembra Talia se in man prende la cetra,
sembra Minerva se in man prende l'asta;
se l'arco ha in mano, al fianco la faretra,
giurar potrai che sia Diana casta.
Ira dal volto suo trista s'arretra,
e poco, avanti a lei, Superbia basta;
ogni dolce virtù l'è in compagnia,
Biltà la mostra a dito e Leggiadria.
Sembra Talia se in man prende la cetra,
sembra Minerva se in man prende l'asta;
se l'arco ha in mano, al fianco la faretra,
giurar potrai che sia Diana casta.
Ira dal volto suo trista s'arretra,
e poco, avanti a lei, Superbia basta;
ogni dolce virtù l'è in compagnia,
Biltà la mostra a dito e Leggiadria.
47
Ell'era assisa sovra la verdura,
allegra, e ghirlandetta avea contesta
di quanti fior creassi mai natura,
de' quai tutta dipinta era sua vesta.
E come prima al gioven puose cura,
alquanto paurosa alzò la testa;
poi colla bianca man ripreso il lembo,
levossi in piè con di fior pieno un grembo.
Ell'era assisa sovra la verdura,
allegra, e ghirlandetta avea contesta
di quanti fior creassi mai natura,
de' quai tutta dipinta era sua vesta.
E come prima al gioven puose cura,
alquanto paurosa alzò la testa;
poi colla bianca man ripreso il lembo,
levossi in piè con di fior pieno un grembo.
48
Già s'inviava, per quindi partire,
la ninfa sovra l'erba, lenta lenta,
lasciando il giovinetto in gran martire,
che fuor di lei null'altro omai talenta.
Ma non possendo el miser ciò soffrire,
con qualche priego d'arrestarla tenta;
per che, tutto tremando e tutto ardendo,
così umilmente incominciò dicendo:
Già s'inviava, per quindi partire,
la ninfa sovra l'erba, lenta lenta,
lasciando il giovinetto in gran martire,
che fuor di lei null'altro omai talenta.
Ma non possendo el miser ciò soffrire,
con qualche priego d'arrestarla tenta;
per che, tutto tremando e tutto ardendo,
così umilmente incominciò dicendo:
49
"O qual che tu ti sia, vergin sovrana,
o ninfa o dea, ma dea m'assembri certo;
se dea, forse se' tu la mia Diana;
se pur mortal, chi tu sia fammi certo,
ché tua sembianza è fuor di guisa umana;
né so già io qual sia tanto mio merto,
qual dal cel grazia, qual sì amica stella,
ch'io degno sia veder cosa sì bella".
"O qual che tu ti sia, vergin sovrana,
o ninfa o dea, ma dea m'assembri certo;
se dea, forse se' tu la mia Diana;
se pur mortal, chi tu sia fammi certo,
ché tua sembianza è fuor di guisa umana;
né so già io qual sia tanto mio merto,
qual dal cel grazia, qual sì amica stella,
ch'io degno sia veder cosa sì bella".
50
Volta la ninfa al suon delle parole,
lampeggiò d'un sì dolce e vago riso,
che i monti avre' fatto ir, restare il sole:
ché ben parve s'aprissi un paradiso.
Poi formò voce fra perle e viole,
tal ch'un marmo per mezzo avre' diviso;
soave, saggia e di dolceza piena,
da innamorar non ch'altri una Sirena:
Volta la ninfa al suon delle parole,
lampeggiò d'un sì dolce e vago riso,
che i monti avre' fatto ir, restare il sole:
ché ben parve s'aprissi un paradiso.
Poi formò voce fra perle e viole,
tal ch'un marmo per mezzo avre' diviso;
soave, saggia e di dolceza piena,
da innamorar non ch'altri una Sirena:
Iulo e Simonetta
51
"Io non son qual tua mente invano auguria,
non d'altar degna, non di pura vittima;
ma là sovra Arno innella vostra Etruria
sto soggiogata alla teda legittima;
mia natal patria è nella aspra Liguria,
sovra una costa alla riva marittima,
ove fuor de' gran massi indarno gemere
si sente il fer Nettunno e irato fremere.
"Io non son qual tua mente invano auguria,
non d'altar degna, non di pura vittima;
ma là sovra Arno innella vostra Etruria
sto soggiogata alla teda legittima;
mia natal patria è nella aspra Liguria,
sovra una costa alla riva marittima,
ove fuor de' gran massi indarno gemere
si sente il fer Nettunno e irato fremere.
52
Sovente in questo loco mi diporto,
qui vegno a soggiornar tutta soletta;
questo è de' mia pensieri un dolce porto,
qui l'erba e' fior, qui il fresco aier m'alletta;
quinci il tornare a mia magione è accorto,
qui lieta mi dimoro Simonetta,
all'ombre, a qualche chiara e fresca linfa,
e spesso in compagnia d'alcuna ninfa.
Sovente in questo loco mi diporto,
qui vegno a soggiornar tutta soletta;
questo è de' mia pensieri un dolce porto,
qui l'erba e' fior, qui il fresco aier m'alletta;
quinci il tornare a mia magione è accorto,
qui lieta mi dimoro Simonetta,
all'ombre, a qualche chiara e fresca linfa,
e spesso in compagnia d'alcuna ninfa.
53
Io soglio pur nelli ociosi tempi,
quando nostra fatica s'interrompe,
venire a' sacri altar ne' vostri tempî
fra l'altre donne con l'usate pompe;
ma perch'io in tutto el gran desir t'adempi
e 'l dubio tolga che tuo mente rompe,
meraviglia di mie bellezze tenere
non prender già, ch'io nacqui in grembo a Venere.
Io soglio pur nelli ociosi tempi,
quando nostra fatica s'interrompe,
venire a' sacri altar ne' vostri tempî
fra l'altre donne con l'usate pompe;
ma perch'io in tutto el gran desir t'adempi
e 'l dubio tolga che tuo mente rompe,
meraviglia di mie bellezze tenere
non prender già, ch'io nacqui in grembo a Venere.
54
Or poi che 'l sol sue rote in basso cala,
e da questi arbor cade maggior l'ombra,
già cede al grillo la stanca cicala,
già 'l rozo zappator del campo sgombra,
e già dell'alte ville il fumo essala,
la villanella all'uom suo el desco ingombra;
omai riprenderò mia via più accorta,
e tu lieto ritorna alla tua scorta".
Or poi che 'l sol sue rote in basso cala,
e da questi arbor cade maggior l'ombra,
già cede al grillo la stanca cicala,
già 'l rozo zappator del campo sgombra,
e già dell'alte ville il fumo essala,
la villanella all'uom suo el desco ingombra;
omai riprenderò mia via più accorta,
e tu lieto ritorna alla tua scorta".
55
Poi con occhi più lieti e più ridenti,
tal che 'l ciel tutto asserenò d'intorno,
mosse sovra l'erbetta e passi lenti
con atto d'amorosa grazia adorno.
Feciono e boschi allor dolci lamenti
e gli augelletti a pianger cominciorno;
ma l'erba verde sotto i dolci passi
bianca, gialla, vermiglia e azurra fassi.
Poi con occhi più lieti e più ridenti,
tal che 'l ciel tutto asserenò d'intorno,
mosse sovra l'erbetta e passi lenti
con atto d'amorosa grazia adorno.
Feciono e boschi allor dolci lamenti
e gli augelletti a pianger cominciorno;
ma l'erba verde sotto i dolci passi
bianca, gialla, vermiglia e azurra fassi.
LA CERVA, LA GROTTA E LA MADONNA_ Leggenda popolare calabrese
Un giorno alcuni cacciatori, provenienti dalla città di
Rossano si trovavano sul monte Sellaro ad inseguire una cerva, ma
l’animale era così veloce che essi faticavano a catturarlo. Finalmente
riuscirono a circondarlo e si apprestarono ad ucciderlo, ma invano,
poiché la povera bestiola scomparve all’interno di una grotta situata lì vicino.
I cacciatori erano convinti che ormai la cerva fosse in trappola, quindi si
avvicinarono cautamente all’ingresso della grotta, ma una volta entrati
rimasero sbalorditi, quando invece della cerva videro una Madonna in preghiera.
I cacciatori, estasiati da quella visione, s’inginocchiarono tutt’insieme ed
incominciarono anch’essi a pregare. Dopo un po’ la Madonna scomparve e al suo
posto rimasero delle tavolette di legno ove erano dipinti da un lato la Madonna
e dall’altro San Giovanni. Subito i cacciatori, prese le tavolette raggiunsero
Rossano e le consegnarono al vescovo che prontamente le conservò nella chiesa
madre. L’indomani, stranamente le tavolette non c’erano più e soltanto dopo
innumerevoli ricerche vennero ritrovate nello stesso posto dove erano state scoperte
inizialmente. Riportate nuovamente al vescovo di Rossano le misteriose icone
per ben tre volte sparirono e per altrettante tre volte vennero ritrovate nel
luogo originario, così il vescovo capi che esse dovevano rimanere presso
la grotta, sul monte Sellaro ed ordinò che qui fosse edificata una cappella.
Iniziata la costruzione, un giorno il capomastro chiese ad un suo manovale di
passargli una pietra da sistemare in un punto dell’edificio. Il giovane gliene
passò una, ma il capomastro la gettò via poiché non gli sembrava adatta e
ordinò al giovane di passargliene un’altra, ma il maldestro manovale, senza
accorgersene, riprese quella di prima e il capomastro, indignato, la rigettò
ancora una volta, poi, nel tentativo di disfarsene, la colpì con un grosso
martello. La pietra si spaccò in due e all’interno, sulle rispettive facciate,
vi erano raffigurati San Giovanni e la Madonna. Ancora oggi, tutt’attorno a
quel sacro antro, si trova uno meraviglioso santuario, a Cerchiara di
Calabria, dedicato appunto alla Madonna delle Armi, cioè alla Madonna
“della grotta”.
Valeria Girau- valeriagirau.blogspot.it
Valeria Girau- valeriagirau.blogspot.it
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